La mindfulness è una tecnica di derivazione orientale che, semplificando molto, consiste nel focalizzare l’attenzione su piccole attività, in modo da permettere un acuirsi della consapevolezza e un distacco dal flusso stressante delle sollecitazioni emotive cui siamo sottoposti nella quotidianità. Non concentrandoci su ciò che succede qui e ora, dice la teoria, ci perdiamo nei rimpianti per il passato e nella paura del futuro, e questo ci rende infelici. La consapevolezza non giudicante è l’obiettivo centrale della pratica.
Secondo questo approccio le cause della sofferenza vanno ricercate soprattutto in noi stessi: il problema non è nel mondo ma nella nostra testa.
Pur derivando originariamente dalla filosofia buddista, non ne ha ereditato gli obiettivi etici né la morale basata sulla compassione per tutti gli esseri viventi. È rimasta quindi una tecnica di gestione dello stress che funziona bene e per questo viene proposta a tutti indipendentemente dal contesto: dai bambini con deficit di attenzione (spesso però ipersollecitati da un mondo di immagini con intenzioni più o meno commerciali), ai dirigenti d’azienda (indipendentemente dalle condizioni dei lavoratori che dirigono), ai lavoratori demotivati da una vita infelice.
Per questo si sono sollevate anche una serie di osservazioni critiche a questa tecnica.
Per certi versi la mindfulness più che liberare le persone le aiuta ad adattarsi al contesto che, molto spesso, è alla radice dei loro problemi. L’affermazione che la chiave della felicità è prestare attenzione al momento presente senza giudicare, può facilmente tradursi nella soppressione dello sguardo critico.
Probabilmente un elemento non secondario del successo della minfulness è nel fatto che una spiritualità fortemente individualistica si presta bene ai valori culturali dominanti non richiedendo cambiamenti radicali nella società. Questa tecnica si sposa perfettamente con un sistema economico e culturale, permeato dalla cultura neoliberista degli ultimi decenni, che attribuisce all’individuo la piena responsabilità di scegliere il proprio destino, descritto come una realtà di fatto, come un fenomeno di cui prendere semplicemente atto: il mondo non si può cambiare, quindi devi essere tu a cambiare.
Questo è un problema. Sottilmente quest’atteggiamento agisce nel senso della rottura della coesione sociale, del senso del collettivo, della società come insieme d’individui solidali che insieme possono cambiare il mondo.
Rimane il fatto che in numerose sperimentazioni la mindfulness si è dimostrata efficace nell’alleviare sintomi e nel contribuire al benessere delle persone: è quindi uno strumento significativo e può essere davvero di aiuto. Fermarsi e imparare a respirare è una cosa utile e importante e può fare certamente molto bene a livello individuale; ma è saggio applicarla con la consapevolezza che le difficoltà non sono una realtà immutabile e che, unendo le forze delle persone la realtà si può migliorare.
Nelle questioni che riguardano la salute il peso del fattore ambientale è evidente e dimostrato dai numeri: la differenza tra una visione individuale e una sociale, tra quella neoliberista americana e quella solidale del welfare di matrice europea, è una scelta dalle conseguenze molto consistenti in termini di qualità e durata della vita.
E’ saggio tenere presente che il contesto sociale in cui viviamo, cioè una società giusta in cui le persone possano sentirsi bene, non è “un altro discorso”, ma un elemento imprescindibile per una buona salute individuale e collettiva.
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