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Mens sana in corpore sano. E dopo?

Mens sana in corpore sano è un bel detto latino, tratto dalle satire di Giovenale, che sintetizza un concetto ragionevole e ben noto: il benessere fisico è fondamentale per quello psichico e viceversa.

Tutti cerchiamo di seguire quest’indicazione sollecitati anche da una cultura diffusa che promuove la cura del fisico col miraggio di un’eterna giovinezza (collegata ad una evidente spinta commerciale). Non deve soprendere né scandalizzare: è una pulsione che combacia con un desiderio naturale.

Ma cosa accade quando il benessere fisico viene meno?

È utile non posticipare troppo questo genere di riflessioni: come è vero che invecchiando ci gioverà moltissimo aver fatto il necessario per stare bene fisicamente, così allo stesso tempo dobbiamo maturare l’idea che potremmo anche non stare bene, che potremmo essere soggetti a qualche patologia. In ogni caso prima o poi ci capiterà di vivere un inevitabile decadimento fisico, probabilmente fino alla perdita dell’autonomia.

Date queste premesse, è saggio attrezzarci per mantenere almeno una buona qualità di vita psichica. Parliamo di un processo che gli adulti devono intraprendere ben prima di trovarsi di fronte all’inevitabile: così come nel fisico la prevenzione inizia con uno stile di vita sano da giovani, una buona vecchiaia passa in gran parte attraverso questa maturazione della consapevolezza che si esprime attraverso scelte fatte oggi che possano creare delle condizioni positive tra molti anni.

Cosa ci può aiutare in questo senso? Dove troviamo le risorse per fare un percorso che ci accompagni ad una vecchiaia emotivamente serena?

Forse una risposta la possiamo cercare attraverso questa domanda: cosa ci resta, alla fine della nostra vita? Cosa vogliamo avere con noi negli ultimi momenti? Cosa può dare senso alla vita anche quando non si ha apparentemente più niente da dare o da fare?

 

(qui sarebbe opportuna una breve pausa per riflettere)

 

La risposta di solito è questa: gli affetti. Da un lato ci piace essere amati, dall’altro abbiamo la sensazione di “perdere senso” quando gli altri non hanno più bisogno di noi. Se queste due condizioni ci sono, cioè l’amore degli altri e la possibilità, da parte nostra, di rispondere a un bisogno di chi amiamo, questo è ciò che gustiamo fino all’ultimo istante della nostra vita: qualcosa che nasce e vive solo nel mondo delle relazioni.

L’essere amati è qualcosa che capiamo e riconosciamo immediatamente. L’elemento del dare invece, la possibilità di corrispondere, è quello che fatichiamo più a capire; c’è difficile pensare che anche quando si è “scassati” qualcosa si possa non solo ricevere ma anche dare. Cose semplicissime, anche senza muovere un dito, di cui possiamo fare qualche esempio.

Prima di tutto l’ascoltare, il prestare attenzione agli altri, interessarci, che è una grande modalità del dare; naturalmente il nostro affetto, la nostra comprensione. Sembra incredibile quanto possano fare piacere un vero ascolto ed un vero interesse, una merce rara, oggigiorno.

E poi quando non siamo più capaci di accogliere gli altri possiamo essere importanti anche solo per quello che siamo, anche solo per il fatto di esistere come corpi inerti: siamo la possibilità di fare un’esperienza. Gli altri, i nostri cari, possono, attraverso la nostra vita, fare esperienza della vecchiaia, del declino, magari anche del degrado, della sofferenza, della morte.

Ciascuno di noi rappresenta quindi una possibilità di esperienza per le persone che ci stanno intorno, e questo le fa crescere. Doniamo qualcosa ai nostri cari fino all’ultimo.

Possiamo essere l’occasione per crescere i nostri figli già grandi (speriamo) di un’altra esperienza, e per le persone che ci assistono di esercitarsi un altro po’ nell’amore e nella cura.

Non è poco.

In tutto questo ha sempre senso la vita; anche quella che si spegne. La vita è qui, ed è un’arte viverla e consapevolmente donarla.

 

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