A pensarci bene, il fatto che i bambini, in poco tempo, imparino a capirci ed a parlare come noi è decisamente una meraviglia.
Dai sei mesi in poi i bambini entrano in una fase di straordinaria sensibilità (e “plasticità” celebrale) in cui sono in grado di selezionare, tra i circa 800 suoni (o fonemi) che esistono in tutte le lingue del mondo, quelli più caratteristici del linguaggio che stanno ascoltando, appropriandosene nel modo più naturale ed associandoli ai gesti, alle azioni ed agli atteggiamenti delle persone con cui stanno interagendo. Per questo è fondamentale, oltre che bello, continuare a parlare ai bambini piccoli, mettendoli nella condizione di selezionare con l’esperienza quello che sarà il loro linguaggio.
La possibilità di imparare a parlare dipende dal poter ascoltare gli adulti, ma anche da come si parla loro.
Per molto tempo si è discusso se fosse più opportuno parlare loro in modo normale o se invece effettivamente fosse meglio parlare con quel linguaggio un po’ alterato e un po’ buffo tipico delle mamme, che attribuisce grande enfasi a certi suoni, usando un tono più acuto della voce, un ritmo lento della pronuncia, e parole brevi fatte di doppie sillabe.
Gli studi più recenti dimostrano che i bambini che sono stati nella condizione di interagire con questo linguaggio, il cosiddetto “maternese” o “baby talk”, imparano più velocemente e meglio a parlare. Il tono acuto attira la loro attenzione e l’esagerazione nei toni permette loro di distinguere meglio i fonemi: gli esperimenti hanno dimostrato che i bambini che ascoltano il “maternese” dopo un anno hanno mediamente un vocabolario doppio rispetto a quelli cui viene parlato con tono normale “da adulti”.
Quindi, ancora una volta affidiamoci pure all’istinto: tutta l’attenzione che dedichiamo ai nostri piccoli verrà ripagata dal loro armonico sviluppo, tutto il tempo che spendiamo a chiacchierare con loro è un dono prezioso.
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