Pare una domanda sciocca: la natura sa quello che fa, si può rispondere. È vero, ma noi la lasciamo fare? I nostri ritmi, le nostre aspettative, la nostra cultura, il nostro ambiente, li rispettano? Lasciamo davvero lavorare la natura? Non è scontato, anche perché forse non la conosciamo più bene.
Allora conviene ricominciare dall’osservare. Elemento importante e caratteristico della crescita è il ritmo: i bambini non crescono sempre allo stesso modo, costantemente.
Ci sono momenti in cui prevale l’allungamento, altri in cui il fisico si consolida, altri ancora di pausa. Osservando meglio si vede che questi momenti seguono un ciclo che si ripete più volte, dall’infanzia all’età adulta, con un periodo di circa sette anni: l’infanzia, la scuola, l’adolescenza, la gioventù, l’età adulta (e poi non ci si ferma…).
Il primo settennio è spesso quello seguito con più ansia ed attenzione: il bambino viene pesato, misurato, ci si preoccupa se non cresce abbastanza.
Ma cosa succede durante i periodi di stasi? Il suo sviluppo non si ferma in quel momento, non c’è solo la crescita fisica. In quei periodi si nota facilmente una maturazione a livello psicologico, l’uscita dalle crisi delle varie età per consolidare personalità, la sensibilità, la struttura dell’identità.
È fondamentale rispettare questi ritmi, e per questo dobbiamo conoscerli. Solo così possiamo creare un ambiente favorevole al loro sviluppo, ricco degli stimoli che possono essere utili.
In un mondo dominato dall’esaltazione della prestazione, da un atteggiamento per cui anche il tempo diventa una merce da sfruttare più possibile, il rispetto dei ritmi della natura non è scontato né comune.
In questo caso, il più delle volte si osserva che il bambino soffre, non trova in ciò che fa né lo stimolo, né l’interesse, né la sfida commisurata alle sue capacità. Spesso le sue energie non sono sufficienti, deperisce, non cresce armonicamente e quindi sviluppa qualche deficit che tenta di riequilibrare a modo suo sviluppando in modo abnorme qualche elemento del fisico o del carattere, pregiudicando di fatto la salute e l’equilibrio futuri.
L’età della prima infanzia è quella in cui il bambino impara a conoscere ed interagire col mondo materiale e con gli altri attraverso l’esperienza diretta ed il gioco. Nello stesso tempo perfeziona la percezione di se stesso in relazione a tutto ciò che è esterno, distaccandosi sempre più dalla mamma e dall’ambiente familiare. Sperimenta ogni giorno e così cresce.
Solo più tardi il “pensiero astratto”, il conoscere attraverso il pensiero, diventa consono alla sua natura. Quello è il momento in cui il bambino è pronto per la scuola, non prima. Un lavoro intellettuale troppo anticipato, come proposto, per fortuna non obbligatoriamente, dall’ultima riforma della scuola dell’obbligo che permette l’accesso alla scuola dell’obbligo a 5 anni, potrebbe rivelarsi dannoso sia per lo sviluppo psicologico ed emotivo, che per quello fisico.
La salute è sempre caratterizzata da un equilibrio tra le energie fisiche, psichiche e relazionali: non è mai salutare sviluppare uno solo di questi aspetti, ne nascerebbero nuovi squilibri e quindi nuove malattie.
Come si può valutare se un bambino è pronto per la scuola? Osserviamolo: non basta che sappia già scrivere qualche parola, bisogna valutare il suo modo di giocare, di stare con gli altri bambini, il grado di sviluppo fisico, o se ha già iniziato quei cambiamenti che sono caratteristici di quell’età (sta iniziando a cambiare i denti, ad esempio?).
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