La discussione sul differente impatto sulla salute tra cibi industriali e freschi è in corso da anni, ma sono pochi gli studi accurati che possono essere un riferimento.
Cibi “ultratrasformati”: questa è una definizione, per quanto discussa, per definirli. Sono quelli che per esigenze industriali e commerciali hanno subito una serie di trattamenti che comprendono tanti possibili processi: cottura al forno, frittura, idrolisi, idrogenazione, uso di additivi tra cui conservanti, dolcificanti, esaltatori di sapidità, aromi e coloranti ecc..
Se si va al supermercato sono quasi tutti sugli scaffali: prodotti da forno, dolci, cereali da colazione, salse e sughi, verdure conservate, zuppe disidratate, cibi in scatola già pronti, bevande zuccherate, non c’è che l’imbrazzo della scelta. In alcuni paesi, e nelle zone più povere di molte aree urbane, questi cibi rappresentano più della metà dell’introito calorico delle persone: sono “buoni”, accattivanti, costano spesso poco. Spesso danno dipendenza.
Un paio di studi recenti ed autorevoli su adulti hanno messo a fuoco dei problemi che sono tanto maggiori quanto maggiore è il consumo di questi cibi sul totale della dieta: malattie cardiovascolari, celebrovascolari e rischio di morte in generale.
Nel caso dello studio che osservava lo sviluppo di malattie cardiovascolari (su 105.000 francesi per 10 annni) si è notato che parallelamente ad un aumento del 10% di consumo di questi alimenti c’era una aumento di oltre il 10% di queste malattie, mentre un maggiore consumo di cibi freschi e naturali aveva un effetto contrario.
Nel caso di uno studio spagnolo su quasi 20.000 persone seguite anch’esse per 10 anni si è visto che il rischio di morte in generale è direttamente connesso al numero di porzioni assunte quotidianamente di questi cibi. Per quattro razioni al giorno il 62% di rischio in più rispetto a chi ne consuma meno di due.
Un aumento del consumo di alimenti ultraprocessi sembra essere associato a un rischio di mortalità complessivamente più elevato tra questa popolazione adulta; sono necessari ulteriori studi prospettici, segnalano però i ricercatori.
Sono dati impressionanti, ma vanno valutati con grande prudenza, perché possono dipendere da molti altri fattori influenzanti la vita di queste persone. Offrono comunque uno stimolo di riflessione importante. Non ci sono spiegazioni semplici, ma è dimostrata una variazione importate del microbiota intestinale in tutte le persone che usano molti cibi ultratrasformati.
Come dice Michael Pollan, un giornalista che si occupa di cibo da molti anni, sarebbe il caso non mangiare niente che non avrebbe potuto mangiare anche la vostra nonna (nell’epoca sua).
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